Cose da fare vicino ad Oristano – SAN SALVATORE DI SINIS (quarta tappa)

Lasciate le coste sulcitane, tra bagliori di sabbia bianca e limpide acque turchesi, si arriva nella provincia di Oristano; Strada Statale 293 direzione Samassi prima, Strada Statale 131 direzione Oristano poi.

Non ci fermiamo nella Città di Eleonora (io la sua bellezza ormai la conosco, ma Voi un salto fatecelo!) e proseguiamo per Cabras, la cittadella celebre per la squisita bottarga e, seguendo la Strada Provinciale 6 direzione Tharros, giungiamo in un piccolo borgo gioiello poco segnalato e quasi dimenticato: San Salvatore di Sinis.

La sua storia è millenaria ma il suo fascino è senza tempo.

Capitai dalle sue parti già tempo fa, ma non riuscii a visitarlo; quasi non mi ricordavo più la sua graziosa struttura urbanistica. Casettine basse strette l’una contro l’altra, qualcuna azzarda portoni vivaci; una enorme piazza in terra battuta al centro, sproporzionata in confronto alle piccole cumbessìas,così vengono chiamate le minuscole abitazioni di arenaria e terra cruda. La sua chiesetta spicca più per la sua importanza storica che per magnificenza. Edificata nel XVII secolo, nasconde al suo interno un suggestivo ipogeo di origine prenuragica dedicato al culto dell’acqua (impersonata dal Dio Maimone famoso in tutta la Sardegna) ed è interamente scavato nella roccia, nel quale ancora oggi si possono ammirare numerosi arcaici graffiti, testimonianza del passaggio di vari popoli nel corso dei secoli. Aperto tutto l’anno, eccetto per la festa patronale, un sorridente custode ci accoglie invitandoci a scendere gli scalini di pietra che si aprono nel pavimento marmoreo; “niente flash” si appresta a ricordarmi. Mentre scendiamo stiamo attenti a non toccare nulla, mentre gli occhi si abituano all’oscurità, un’ondata di calore umido ci da il benvenuto al pozzo centrale. Nel silenzio assoluto dei vani absidati, la storia rumoreggia: tra il chiacchericcio di greci e arabi, navi mercantili e di conquista solcano impavide le onde del Mare di Sardegna e, nel frattempo tra il polverone del circo, temerari aurighi fanno schioccare in aria le fruste e cavalli scalpitanti portano a termine la corsa delle quadrighe, i vincitori festeggiano mentre un cavallo alato solca i cieli tersi. Un’aura magica aleggia sopra le nostre teste, formule fatate e preghiere sussurrate ci regalano un brivido che corre su per la schiena. Risalendo la ripida scalinata gli occhi strizzano per tanta luce, estasiati si torna alla realtà.

La particolare composizione architettonica dell’intero paesello lo ha reso famoso per qualcos’altro però. Negli anni ’60 viene scoperto dal cinema italiano che lo trova affine agli ambienti messicani tipici dei film western. Si tenta così unatrasformazione temporanea del villaggio affinchè si presti meglio alle riprese degli ultimi spaghetti western nazionali (tra i tanti per esempio Giarrettiera Colt). Fino agli anni ’90 sull’ampia piazza centrale i resti di quell’epoca cinefila: un arco bianco in calce e le facciate di un saloon e di tipici edifici del Far West. Mi sarebbe piaciuto vedere ancora oggi le installazione del set cinematografico, andate distrutte in un incendio. Scommetto che sarebbe stato un efficace punto a favore dell’industria turistica locale, visto che la provincia di Oristano è all’ultimo posto della classifica. La bruciacchiata scenografia pseudomessicana ha dato però spazio ad una delicata restaurazione del villaggio che ha così recuperato le sembianze originarie ed è tornato a svolgere il compito per il quale nacque.

Ampliatosi lentamente attorno alla Chiesa per venire incontro alle esigenze dei novenanti nel periodo precedente la festa annuale e nelle varie fasi di semina e raccolto, è il tipico esempio di centro religioso temporaneo in Sardegna. Abbandonato per gran parte dell’anno, si anima, ancora oggi, in occasione delle celebrazioni in onore di Cristo Salvatore, il primo weekend di settembre. Tra bandierine svolazzanti a colorare le poche strette viuzze, le finestre vengono spalancate e le casine, per tutto l’anno impazienti, respirano a pieni polmoni l’aria di festa.

I festeggiamenti religiosi, tra i più sentiti della Provincia, durano una settimana in una cornice fatta di canti e balli tradizionali, di manifestazioni enogastronomiche, di eventi culturali e culminano nella storica Corsa degli Scalzi. Is Curridoris, uomini e ragazzi con tunica bianca, scalzi ripercorrono per 7 km (più il ritorno serale) la storia risalente al XVII secolo quando, a causa di una incursione moresca, gli abitanti del posto per mettere al sicuro la statua di San Salvatore iniziarono una lunga e veloce corsa (da Cabras) verso una zona protetta (San Salvatore). Lo stesso tragitto viene fatto anche dalle donne, scalze anch’esse, impeccabilmente vestite con l’abito sardo di Cabras durante la processione di Santu Srabadoeddu.

Essendoci andata a metà agosto mi son persa tutti i festeggiamenti ma grazie alle splendide fotografie del maestro Matteo Setzu (gentilmente concessemi per l’album qui sotto) son riuscita a teletrasportarmi ancora per un giorno in quel posto magico e suggestivo che è San Salvatore. E’ il giorno delle donne, è Santu Srabadoeddu e nei suoi scatti, cullati dalla musica delle launeddas, si intravede la solennità negli occhi di giovani donne, traspare il legame indissolubile che le lega ad una tradizione antichissima. La bellezza del villaggio dell’oblio viene esaltata dai colori dei tessuti e illuminata dagli irresistibili sorrisi delle piccole crabarissasa.

E’ una meta obbligatoria San Salvatore, a due passi dalle spiagge di quarzo … il sole mi indica però che è ora di rimettermi in macchina e così, dopo una avvincente lezione di storia e una fresca merenda nel ligneo chioschetto Abraxa , punto la bussola e seguo verso Nord…

…to be continued…AGAIN…

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